Sandrine lavora al centro per l’impiego, però non è contenta e ha già le idee molto chiare su quello che vuole fare. Antoine Lacuenta è un professore disoccupato, no global, che risiede in un residence sociale per indigenti. Sandrine lo coinvolge, machiavellicamente, nel suo progetto di aprire un ristorante e con lui arrivano sulla scena tutta una serie di personaggi stravaganti, le loro storie e i loro problemi.
Mentre tesse la sua tela, Sandrine scopre un segreto su Marcel Lacarrière, magnate della stampa in difficoltà.
E poi c’è la famiglia di Sandrine: la figlia, bambina prodigio, la suocera, il marito…
A un certo punto compare pure una certa Annabelle Villemin-Dubreuil, psicologa sexy
esperta di Kamasutra. E, se vorrete leggerlo, lascio a voi la scoperta di tutte le altre altre sottotrame e degli altri numerosi personaggi.
Piccoli piatti forti di Pascale Pujol, edito da Edizioni e/o e tradotto da Alberto Bracci Testasecca, ha tutte le basi per essere un libro veramente godibile. Il personaggio di Sandrine, pronta a tutto per raggiungere il suo obiettivo, è veramente affascinante e ben scritto.
Però io a un certo punto mi sono persa.
Può essere unicamente una mia responsabilità, sia chiaro, eh? Forse non ho capito qualche passaggio, forse non ho letto con attenzione, forse non è il libro per me.
So solo che tra tutti questi personaggi strampalati, e anche molto simpatici, mi sono completamente persa.
Non ho capito quando è venuto fuori il piano di salvare il residence dove Antoine alloggia; non ho capito come si è sviluppata la storia tra Annabelle e Antoine; non ho capito il senso di Adrien, l’altro figlio di Sandrine. E così via. Non ho capito davvero tante cose di questo libro.
È come se in Piccoli piatti forti, che comincia molto bene, a un certo punto mancassero proprio dei pezzi.
Come si sono costruite tutte queste relazioni? A parte Sandrine e i suoi piani strategici, come si è arrivati dall’inizio alla fine?
Come hanno fatto a diventare la famiglia felice che appare nelle ultime pagine?
E la cucina? Dov’è la cucina?
Sì, ogni tanto se ne parla, i titoli dei capitoli sono tutti nomi di piatti, ma… a parte il capitolo della gara culinaria (e anche quella ho faticato a inserire in un contesto preciso se non quello della ‘familiarizzazione’ tra i coinquilini), di cucina non si parla praticamente mai. Visto che ormai i libri che parlano di cucina sono più che di moda, la scelta del titolo è stato solo un modo solo per attrarre lettori?
Tra tutte le trame ce n’è una sola che sono riuscita a seguire bene: quella tra Marcel Lacarrière e Marité e il loro passato e tutte le conseguenze che ha avuto. E come Sandrine lo scopre e affronta il tutto. Lì c’è una storia che ha un inizio, un mezzo e una fine e ho respirato.
Sulla quarta di copertina si parla di situazioni esilaranti, ed è vero, sì parla di intelligenza, e anche questo è vero, perché presi da soli i singoli episodi sono divertenti e intelligenti, ma io non sono proprio riuscita a trovare un filo unico che mi portasse dall’inizio alla fine.
Forse non capisco questo tipo di scrittura e molto probabilmente ho poca immaginazione, e magari non ho avuto abbastanza attenzione per le sfumature, ma fatto sta che Piccoli piatti forti mi ha lasciato l’amaro in bocca.
E neppure il ‘messaggio sociale’ del libro mi ha fatto superare l’amarezza: nulla hanno potuto il problema della disoccupazione, dell’integrazione, della mancanza di un tetto sulla testa. Nulla hanno potuto le figuracce dei funzionari, imprenditori, il mondo rovesciato dove i poveri vincono e gli sfruttatori vengono messi in imbarazzo. Nulla ha potuto l’ironia dell’autrice…
Non ho capito i nessi. E non ho quindi apprezzato neanche il messaggio di ‘educazione civica’ che la scrittrice voleva darci. Non ho proprio goduto a pieno della storia.
E se non godi di quella, che piacere c’è nella lettura?
Succede. Succede che ci siano libri con i quali non scatta la scintilla. E, sarò ingenua e sentimentale, ma a me dispiace sempre tanto. Specie se hai fiducia nell’editore, specie se ti aveva affascinata così tanto: titolo, copertina… Parigi!
Una bandella bellissima che già mi aveva fatto pregustare ore di divertimento insieme a tanti bei personaggi.
E invece niente. Un’occasione sprecata per me, che amo le cose chiare, nude e crude, senza troppe artificiosità tecniche, senza voler stupire a tutti i costi con ‘l’assurdo’ e l’originale.
Quindi per me questo libro è per chi vuole contraddirmi, e magari se ha voglia di leggerlo, può dimostrarmi che mi sono sbagliata e, mettendolo sotto una luce diversa, farmelo apprezzare.
Ciao Angela! Sì, succede che un libro non ci coivolga oppure che non sia adatto a quel momento. Se ripenso ai libri che ho letto in passato, mi viene in mente “Vita degli elfi” un romanzo che ho capito dove volesse andare a parare, forse non era proprio il romanzo giusto per me 🙂
A presto!
Scusa, Angela, ho dimenticato un “non”: ovviamente, un romanzo che NON ho capito dove volesse andare a parare 🙂
Era chiarissimo, Claudia! 🙂
Il “non” era rimasto intrappolato nella tastiera 🙂
Capita ai ‘non’ ogni tanto. Sono un po’ indisciplinati… Ahahaha