Aveva sempre lavorato con suo marito. Da quando si erano incontrati, da quando si erano sposati. Da giovane era alta, bionda, magra e austera. Molto bella.
Sapeva cucire bene e aveva un senso della moda innato. Avrebbe potuto farne davvero una professione di successo se non avesse deciso diversamente. Fare la moglie di suo marito, e condividerne anche il lavoro.
Aveva cucito le tende e le tappezzerie di praticamente tutti i suoi fratelli e sorelle, e ne aveva tanti. E delle cognate e dei cognati, e ne aveva tanti. E di amiche e conoscenti.
Non aveva una vita mondana molto attiva, le sue uscite erano le visite dai parenti, la messa la domenica e ogni tanto qualche festa, qualche passeggiata.
Ma ogni volta lei doveva avere il vestito giusto. Il vestito giusto con tutti gli accessori giusti. E le scarpe giuste e i capelli giusti.
Maratone e maratone di prove prima di ogni evento. “Questo va così”, “quest’altro va così”, “mi stringe un po’, ora me lo allargo”, “e se ci aggiungessi dei bottoni gioiello?”, “come sto? come mi sta?”.
Era ed è sempre perfetta la signora Pina, che quando non faceva la moglie, la mamma, la sorella, la figlia, la casalinga, andava a “fare i mercati”.
Suo marito era un mercataro di vecchia generazione, sveglia all’alba, “barracca” montata a mano, slogan per attirare gente che il moderno marketing rabbrividirebbe.
”E maglie! E maglie! Maglie per uomini, maglie per donne e maglie per bambini!”.
Un mestiere onesto, che gli aveva permesso di vivere dignitosamente per buona parte della loro vita. La crisi, poi, si sa…
Se la moglie era alta e bella, lui era basso e scuro. Un vero uomo meridionale. Una coppia tanto strana fisicamente, quanto azzeccata in tutto il resto. La signora Pina e il marito, ad oggi, si amano ancora teneramente e sono passati più di quarant’anni.
Oltre a vendere vestiti alle signore dei paesi della provincia dove con suo marito approdava tutte le mattine, venendo scambiata sistematicamente per una donna dell’est, per la sua ‘biondezza’ e austerità, Pina faceva del suo talento per lo stile innato un uso interessante.
Andava a scavare nelle “pezze vecchie”.
In tutti i mercati, da quello più piccolo del paesino sperduto tra le campagne a quello più grande di città, tra i colori, i rumori, i suoni, le donne che si spingono per passare tra i budelli creati dalle bancarelle, quelle che si ostinano a portare i bambini nel passeggino, i profumi del pescivendolo, del “mozzarellaro” e di quello delle olive, la musica messa a seconda del cliente dal venditore delle cassette pirata, c’è la zona delle pezze vecchie.
A un certo punto, ammassati su tavoloni da esposizione, c’erano cumuli e cumuli di vestiti, accessori, biancheria.
Un tripudio di colori, di tessuti, di profumi, anche lì. E di mani.
Di mani di tutte le signore che passavano ore e ore a rovistare, scavare, cercare e, ebbene sì, trovare.
Perché: cinque pezzi diecimila lire, un pezzo tremila lire. E poi un euro a pezzo. E il tre per due e così via.
Se avevi pochi soldi e bisogno di vestiti. era lì che dovevi andare.
Se i soldi ce li avevi ma volevi tanti tanti vestiti, era lì che dovevi andare.
Se eri la signora Pina e per i vestiti, gli abbinamenti, l’equilibrio dei colori e l’eleganza avevi una vera e propria ossessione, dovevi andare lì.
Da dove arrivasse quella roba mi è sempre stato poco chiaro. Esiste sicuramente un canale attraverso il quale tutti i vestiti che non ci mettiamo più arrivano a un certo punto su quei banconi. Alla mercé di tutti. Tirati, strappati, abusati.
Persone dall’animo poco creativo e poco sensibile, quando ancora la moda dell’usato non era una cosa “cool” e non esistevano ancora tutti i negozi che ora ti fanno pagare abiti vecchi peggio che un Cartier, sarebbero passate oltre turandosi il naso. Cercando di non incrociare gli occhi di chi invece in quel mare di stoffa stava passando le ore più soddisfacenti della sua giornata.
Molte signore però non erano in grado di selezionare. E la “pezza vecchia” che trovavano e acquistavano restava una pezza vecchia. Comunque la giravi e la sistemavi.
La signora Pina no; lei aveva il dono.
Allungava le mani nel cumulo e tirava fuori tesori.
E se il tesoro era un po’ rovinato lei lo portava a casa, lo coccolava, lo ripuliva, lo sistemava e lo riportava al suo antico splendore.
E tutti quei vestiti, che avevano perso la loro dignità nel cumulo, ritornavano a raccontare storie.
A me raccontavano storie. A me, mia sorella e mia cugina, che ci divertivamo tantissimo a immaginarne, ogni volta che Pina tornava a casa con quei sacchi pieni di chissà che meraviglie dormienti, la provenienza.
C’era un cappottino bellissimo di Max Mara, color cammello. Quei cappottini che non passano mai di moda, avvitato e a corpo. Che aveva avuto la sfortuna di avere le tasche deboli, la cui fodera si era scucita.
Secondo noi era appartenuto a un medico, una donna medico impegnatissima che non aveva avuto tempo di portarlo a riparare; più facile comprarne uno nuovo. Che cosa vuoi che sia per una donna in carriera un cappottino Max Mara color cammello?
E quello vecchio era finito lì, nel cumulo. Tra tanti anonimi cappotti vecchi, una perla. Una perla che la signora Pina aveva sapientemente recuperato, sistemato, ricucito, ripulito e usato per altri 20 anni. Per l’invidia di tutti.
Una volta è arrivata con un abito rosso Valentino. Sì, rosso Valentino. Sontuoso, elegante, bellissimo. Un abito da gran signora.
Quello lì, nella nostra fantasie di bambine, mangiatrici di storie, sogni e passioni, era appartenuto all’amante di un uomo che era sposato con una donna che diceva di non poter lasciare. E perché: troppe questioni complicate e troppi casini e perché, tanto, l’amante era lì, ad aspettarlo. “Tu sei tutto per me, sei tutto, aspettami!”, mentre lei accettava i suoi costosi regali, sperando che una notte lui si presentasse da lei, dicendo che aveva scelto, aveva scelto solo lei.
Secondo noi era finita che a un certo punto la bella amante paziente aveva buttato nella spazzatura i regali costosi, tra cui l’abito, e aveva deciso di non aspettare più.
Eravamo bambine, ma già sapevamo che il lieto fine è una cosa complicata.
Quell’abito lì, non so che fine abbia fatto, forse è passato tra tutte le sorelle della signora Pina per i vari matrimoni e ora chissà in che armadio sta dormendo.
E la giacca Chanel. Parte superiore di un completo, in cotone bianca e blu, con i bottoni dorati e la manica a tre quarti. La gonna era andata perduta, con grande disperazione di Pina che è tornata più e più volte a quella bancarella per cercarla. Un vero peccato.
Questo però non le ha impedito di fare sfoggio della sua giacca Chanel, abbinata perfettamente con varie gonne e pantaloni, perché lei era ed è in grado di abbinare tutto.
Secondo noi, la giacca era sicuramente appartenuta a una nobile francese sposata con un avvocato italiano. Perché nobile, perché francese e perché proprio un avvocato italiano sono questioni sulle quali abbiamo sempre preferito mantenere il riserbo. … Faceva chic, insomma.
Ah… le Louboutin!
Una volta la signora Pina è arrivata con un paio di Louboutin, proprio quelle famose, con la suola rossa! Nessuna di noi è stata in grado di indossarle, la scarpa destra era difettata ed era stretta. Ma sono state contemplate a lungo, in adorazione.
E tanti tanti vestiti, più o meno preziosi, negli anni sono passati per le sue mani magiche; li trovava, li sistemava e, soprattutto, ridava loro una storia.
Magari non la storia di ricchezza e splendore della loro vita da abiti nuovi, ma storie semplici, di una vita di provincia, fatta di lavoro, sacrifici e piccole soddisfazioni.
Era un dono, sì. Un dono che io invoco tutte le volte che, sempre più raramente, mi capita di essere in un mercato, davanti a un bancone delle pezze vecchie.
L’ultima volta è capitato a Madrid, ero con mia cugina. Si è aperto dinanzi a noi un mondo di vestiti gigantesco, coloratissimo. Ci siamo guardate e abbiamo detto: “Ah, se ci fosse qui con noi la signora Pina!”.
In suo onore abbiamo cercato, rovistato e scavato in quei cumuli, sperando di fare la sua magia. Io ho recuperato una camicetta molto carina, mia cugina un maglioncino. No, il dono di trovare tesori e renderli ancora più splendenti ce l’ha solo lei.
Me la ricordo sempre quando, prima di uscire, passava ore a provare e riprovare i vestiti che aveva scelto, comprato e sistemato e abbinato con altri vestiti. Magari doveva solo andare a trovare sua sorella, suo padre, una vecchia zia, ma non aveva importanza: ogni occasione ha il suo vestito e ogni vestito ha la sua occasione. E i suoi erano tutti bellissimi.
Ora la signora Pina non li fa più i mercati, lei è suo marito per i casi della vita hanno cambiato casa, paese e lavoro. Ormai va raramente a scavare tra le pezze vecchie, ma la sua passione per i vestiti e gli abbinamenti è viva e vegeta. Ancora oggi, quando mi capita di stare con lei, facciamo insieme questo teatrino.
“Come sto? Come mi sta?”
“Mamma, stai benissimo. Sei bellissima.”
“Ma mi metto le scarpe nere o quelle blu?”
“Mamma, ci stanno bene tutte e due. Decidi tu.”
“E dai, datemi un po’ di soddisfazione… Peppino, come sto?”
“Moglie, sei bellissima, come sempre. E ora muoviti che è tardi.”