La virgola col vocativo salva la vita

Qualche giorno fa The JackaL ha condiviso su Facebook un’immagine meravigliosa che mi ha fatto immediatamente pensare all’uso della virgola  in determinati casi. Il vocativo, per esempio.

virgola vocativo

Un’altra immagine specifica che è stata condivisa sui social a proposito dell’uso sbagliato della virgola è questa.

virgola vocativo

Povera nonna. Davvero.

Io tifo per le nonne e questa cosa della virgola assente ingiustificata con il vocativo (aspettate che ora vi spiego che cos’è) è un’altra di quelle cose che mi fa prudere l’orecchie.
La punteggiatura è importante. Quando parliamo le persone ci capiscono perché usiamo dei toni di voce specifici, perché facciamo le pause, perché gesticoliamo. Io, per esempio, quando parlo devo sedermi a distanza di sicurezza da persone e cose, sennò finisce sempre che o cade qualcosa o picchio qualcuno.
Quando scriviamo, invece, tutto questo non c’è. Niente toni di voce, niente gesti, niente faccia.
E cosa hanno inventato per riempire questo vuoto e facilitare la comprensione e la comunicazione?
La punteggiatura.
E la virgola, inchiniamoci a lei, è la regina della punteggiatura.

A che cosa serve?
In sostanza indica una pausa breve, un respirino. Il respirino che tiriamo se stiamo facendo un elenco, un inciso, se stiamo chiamando qualcuno. Ed ecco che siamo arrivati al vocativo.
Treccani dice che “il vocativo è un elemento nominale o più raramente pronominale che serve a richiamare l’attenzione di un destinatario rivolgendogli la parola, e a identificarlo selezionandolo fra diversi possibili interlocutori”.
Insomma, quando ci rivolgiamo a qualcuno, scrivendo, chiamandolo (col nome, un complimento,  un insulto, fate voi), usiamo il vocativo.

Per esempio.

Ciao, Angela.
Angela, ho sentito che ieri sei andata in quel posto lì.
Nonna, ho mangiato.
Ho mangiato, nonna.
Scemo, levati.
Si narra, caro pubblico, che un giorno la principessa baciò il ranocchio…

E la virgola nell’uso del vocativo è sacrosanta. Ci va. Sennò non si capisce niente.
Sì, direte voi, dal contesto si capisce.
Sì, è vero, dico io. Ma non c’entra. È sbagliato.

Tra “ho mangiato nonna” e “ho mangiato, nonna”, c’è un oceano di differenza.

Per spiegarlo ancora meglio, senza nonne morte, leggete qua:

Michela accompagna gli ospiti nell’altra stanza
Michela, accompagna gli ospiti nell’altra stanza

È chiara la differenza, vero?
Nella prima Michela è il soggetto e compie l’azione, nella seconda a Michela viene chiesto da qualcun altro di compiere quell’azione.
Due cose diverse, appunto.

Oppure rileggete la scritta di The JackaL. La terapia d’urto a volte funziona.

Quindi, quando scrivete i vostri post sui social, specie quando scrivete gli auguri nel giorno del compleanno, ricordatevi questa regolina semplice semplice. Se vi state rivolgendo a qualcuno, scrivendone il nome, dopo, o prima e dopo, o prima (a seconda di dove mettete il nome, appunto), va messa la virgola.

Auguri, Simone!
Simone, auguri!
Mi hanno detto, Simone, che oggi è il tuo compleanno. Auguri!

Così, se vi abituate a farlo in contesti in cui c’è poco margine di fraintendimento, come questo appena descritto, lo farete in automatico anche in contesti più confusi, dove l’uso della virgola vi può salvare la vita.
O quella della nonna, almeno.

1 commento su “La virgola col vocativo salva la vita

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